Ogni giorno sempre lo stesso suono proveniente dallo studio in casa di mio padre. Sempre lo stesso suono dolcissimo, pastoso, caldo di un sax tenore. Anche da lontano avvertivo la delicatezza del fiato insinuarsi nel mio corpo e subito dopo la nota, malinconica o virtuosa, swing o bossanoveggiante ma assolutamente autentica, unica, riconoscibile tra tutti i sax tenori. Curiosa come una bambina e attratta come una donna da quella voce, entrai in quella stanza e gridai: “ma chi è?”. Mio padre, con sorriso stampato sul viso, pronuncia quel nome. Stan Getz. E da allora, grazie al mio papà, il mio tutto, il mio mondo, ho conosciuto il più grande sassofonista jazz di tutti i tempi. È chiamato “the Sound – il suono” per rendere giustizia e onore alla sua voce. Un altro grande bianco, un'altra dimostrazione che il jazz non è solo nero. “Il jazz è sostanzialmente una musica fatta dai neri. Ma ci sono bianchi che sanno suonare tanto bene, con tanta originalità quanto un nero. Non sono molti, ma so di essere uno di loro”. Comincia a suonare nell’epoca del be bop e del cool jazz, creando il quintetto “Stan Getz Five Brothers”, tutti sassofonisti tenori (Al Cohn, Zoot Sims, Allen Eager e Brew Moore) che segna l’inizio di un movimento storico nella storia del jazz. Intorno agli anni ’50, nasce il “Four Brothers Sound”, gruppo più complesso, perché unisce quattro sax diversi, e quindi chiavi diverse, tecniche differenti, voci opposte. C’è Zoot Sims, Herbie Steward e al baritono Jimmy Giuffrè, il compositore del famoso brano “Four Brothers”. Da qui Getz è “obbligato” a collezionare un successo dopo l’altro, anche perché, entra nel mondo della Bossanova. Il suo primo contatto con questo ritmo è segnato dalla registrazione di “Desafinado” con la quale “permette” alla bossanova di arricchirsi di quegli ornamenti jazzistici giusti per entrare a far parte del repertorio jazz, suonato e cantato, dopo, da tutti i musicisti e dalle maggiori voci jazzistiche. Dopo “Desafinado”, comincia una lunga collaborazione con Joao e Astrud Gilberto, con i quali interpreta le più belle canzoni di Antonio Carlos Jobim: “The Girl from Ipanema”, “Insensatez”, “Corcovado” e tante altre. Stan Getz suona davvero tutti gli standards, dagli evergreen americani più noti alle composizioni più complesse. Suona con tutti i musicisti del cool jazz. A parte tutti i cd di bossanova, di Stan Getz bisogna assolutamente avere i cd “Getz meets Mulligan” e il concerto a Stoccolma con Chet Baker “The Stockholm Concerts” nel quale c’è un Getz che, oltre a dimostrare la sua unicità, risulta straordinario nel riempire quei vuoti che Baker, in difficoltà per la sua dipendenza dalla droga, non riesce a colmare ma che, forse proprio per questo motivo, suggestiona ad ogni nota emessa dalla sua tromba.
Anche Getz ha problemi di droga. Nel ’54 è condannato per uso di stupefacenti e per tentata rapina. In una sua lettera al direttore di “Down Beat” cerca di spiegare la sua disperazione. La sua paura, ammette, è quella di non riuscire a lavorare senza “lei”, senza la dose quotidiana di veleno da spararsi nel sangue. “Capisco che quanto ho fatto ferisce la musica jazz. Dire che mi dispiace non è certo abbastanza. Posso biasimare questo che ho fatto sotto l’urgenza di inventare musica ogni giorno, come il jazz richiede”. Ma se fosse ancora vivo, chi lo ama gli direbbe senz’altro che lo perdona. Si può perdonare tutto ad un musicista che ha saputo regalare, attraverso la sua musica, la voglia di vivere, perché è questo che ha saputo davvero trasmettere. La sua genialità, la limpidezza, l’inconfondibile suono, la fluidità delle sue frasi, l’altissimo livello delle improvvisazioni, una classe illimitata. Il suo jazz è poesia caratterizzata da samba, swing, bossanova, jazz, mescolanze di blues e soul, tutto in una sola parola: Getz. E oggi, appena ne ho l’opportunità, ascolto Getz con mio padre che, ogni giorno ha qualcosa di nuovo da farmi notare, un’improvvisazione particolare, un passaggio inimitabile. E queste emozioni non le puoi dimenticare. Quando, lontana da casa, sento la voce di Stan Getz, ritrovo tutte le parole e i momenti che vivo con mio padre e questo, fondamentalmente, è il jazz. La capacità di fotografare determinati passaggi della vita di chi sta ascoltando uno standard e di incorniciarli nella mente.
Prima di essere cremato e sparso nell’Oceano Pacifico Getz dice “voglio essere ricordato per tutto quello che ho fatto. Sono felice di far parte del jazz; mi ha permesso di viaggiare per tutto il mondo, ha allargato le mie conoscenze. Sono fiero di essere un uomo di questa musica e per lo stesso motivo voglio che i miei figli e figli dei miei figli siano fieri di me”.
viviinjazz
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