giovedì 17 maggio 2012

CHARLES MINGUS



“E’ proprio perché suono del jazz che esprimo sempre il mio io. Suono e scrivo me stesso, ciò che provo e poco importa quale sia il mezzo. La musica è un linguaggio di emozioni. Se qualcuno è sfuggito alla realtà, non credo possa capire la mia musica”. Il contrabbasso, nelle mani di Charles Mingus, americano nero come la notte, si trasforma in una sorgente di rabbia e odio contro il razzismo, di follia e passione verso le donne, di tecnica e forza da sfoggiare nelle sue esibizioni. Mingus non è certo una persona semplice. Ha un carattere scontroso, irritante, vulcanico. Orgoglioso del colore della sua pelle, fa un jazz che si esprime attraverso tutti i momenti e le trasformazioni musicali. La sua musica sa di be bop, di blues, di soul, di swing, come se volesse farsi capire da tutti, come se volesse fare in modo che nessuno possa dire di non averlo capito, di non aver percepito il suo pensiero. Nella sua autobiografia “Peggio di un bastardo”, Mingus si descrive dettagliatamente, sfiora millimetro per millimetro del suo corpo e della sua anima. Sottolinea, da subito, il fatto di essere figlio di un “nero giallo” e di una pellerossa, e se già i neri vengono trattati come rifiuti, si può immaginare quanto possa essere insopportabile la situazione di Mingus, per quanto lui ne vada fiero. Ironicamente non viene accettato né dai bianchi, né dai neri. Nelle sue esibizioni c’è una forte influenza classica derivante da un’adorazione per Debussy e Stravinsky, una influenza di musica afro-americana, avendo vissuto ascoltando musica spagnola  sin dall’infanzia e presto si aggiunge la passione per il jazz seguendo le trasmissioni radiofoniche di Duke Ellington. Tiene molto al lavoro di gruppo. “Io compongo su uno spartito mentale. E in seguito espongo la parte a ogni musicista. Suono gli accordi fondamentali sul piano, in modo che entrino in sintonia con la mia interpretazione, il mio feeling. Sono liberi di scegliere scale e accordi, l’unica limitazione riguarda il tono indicato. In questo modo siamo tutti liberi di creare una buona improvvisazione e degli assoli speciali”.
Un primo disco è “The greatest Jazz Concert Ever” del 1953, totalmente be bop. Forse, incoraggiato dal successo di questa incisione, dà vita ad un suo progetto: “il Jazz Workshop” (laboratorio di jazz), all’interno del quale si sperimenta e ci si confronta sui vari metodi e gusti jazzistici. Questo progetto funziona e i Workshops diventano numerosi, coinvolgendo tutti i migliori jazzisti del momento. I successi più memorabili appartengono al ’57 con Tijuana Moods e e al ’63 con “The Black Saint and the Sinner Lady”. Il primo è una collezione di sapori e ricordi di un viaggio nel Messico. Il carattere di questa incisione è allegro, esattamente come allegro può essere chi racconta un’esperienza piacevole. Il secondo è un’opera articolata in sei movimenti espressivi e, anch’essi, ricchi di vivacità deduttiva. Ogni movimento, non serve dirlo, è uno stati d’animo.
Intorno al ’77 Mingus viene colpito dal morbo di Gehrig, una forma di sclerosi senza cura e muore a soli 56 anni. Ha voluto essere cremato e sparso nel Gange.
La moglie Sue Mingus ha scritto un libro “Tonight at Noon” nel quale vuole far conoscere meglio Charles, la sua religiosità, la sua paura dei razzisti, i suoi mille caratteri, la sua brama di sesso. “Era uno che sapeva sempre chi era, in un mondo che non sempre lo accettava. Aveva colore sbagliato di pelle, e non è stato sempre capito”. Il suo corpo odora di musica, di sesso, di violenza e conflitti. Ma Sue Mingus lo ricorda come un uomo gentile, mutevole si, ma dolce e teneramente spaventato. A proposito della sua musica dice: “le sue composizioni lasciavano molto spazio; certo, vi erano parti scritte, e spesso si trattata di parti di grande complessità armonica, ma alternate a grandi fasi di improvvisazione”.
La sua genialità consiste proprio nella sua interpretazione, in quel lavoro mentale che attua inizialmente, prima da solo, poi con il resto del gruppo, e nell’accettare tutti gli input esterni che lo aiutano ad imbastire un “discorso” musicale stimolante e teatrale. Dando a tutti l’opportunità di impostare l’arrangiamento del brano, si perde l’impostazione classica degli altri jazzisti, basata su un solo interprete. Con Mingus tutti i membri del gruppo possono ideare un’idea stilistica, un modo per iniziare un’esposizione, per poi continuare nella collaborazione per tutto il resto della durata del brano.
“Nato in un altro Paese o nato bianco, sono certo che avrei potuto esprimere le mie idee molto prima. La mia musica è viva, parla della vita e della morte, del bene e del male. Essa è collera: è reale perché sa di essere collera”.

viviinjazz

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