Era il mese di ottobre del 1930. Era una di quelle notti in cui l’unica cosa che Leslie avrebbe desiderato era morire. Vagava per la città, con la speranza di trovare, per sempre, in un posto qualunque, il suo riposo, la sua tomba, in legno semplice, senza lapide, senza fiori. Nessuna la conosceva, nessuno l’avrebbe cercata. Camminava lentamente, appoggiandosi prima a un lampione, poi a un muro, fissando per terra, come se volesse evitare di inciampare in qualcosa. Aveva un vestito bianco, un bianco da sposa, lungo sino ai piedi, con uno spacco che metteva in risalto la sua gamba esile, gracile, con tutta la sua bellezza di donna da ventiquattro anni. Indossava una scarpa alta, con quel tacco prominente da donna vissuta, come per volersi proteggere e difendere dalla sua ancora fresca ingenuità di fiore sbocciato da poco. Portava una borsa semplicissima e una collana di perle della madre, dalla quale mai si sarebbe separata. Camminava senza meta, senza mai voltare angolo. Era svampita, urtava il suo corpo a ogni ostacolo si trovasse di fronte, senza fare nulla per scansarlo. A volte sbatteva contro qualche individuo che usciva da un locale o da un portone, scontrandosi con sguardi arrabbiati o incuriositi. Sembrava non le importasse dove quel marciapiede conducesse. L’importante, per Leslie, era allontanarsi, il più possibile, da quell’appartamento del secondo piano, dove tutto era cominciato e, dove ora, era tutto finito. Leslie sembrava essere impazzita perché, benché fosse sola, ripeteva ad alta voce: “Clint, perché?”. Chi era Clint? Da dove veniva quest’uomo, così fortemente presente, da indurre una donna a non avere più voglia di vivere?
Capitolo due
Nel novembre del 1925 Leslie decise di lasciare Yale, nell’Oklahoma, per trasferirsi a New Orleans, in cerca di fortuna, quella stessa che rincorreva da sempre, di quella fortuna che mai si era degnata di avvicinarsi al suo corpo.
Orfana di madre dai suoi dieci anni e con un padre in galera per averle ucciso la mamma, colpendola con tutta la forza dei suoi muscoli e la cattiveria coltivata nel suo cuore, prese la decisione di andar via, in una delle sue tante notti passate a guardare il soffitto.
Arrivò nella magica città di New Orleans con speranza, con tantissima voglia di ricominciare da capo, di dimenticare quella che era stata la sua vita sino a quel giorno e iniziarne una nuova.
Appena arrivata in città, cercò un piccolo posto dove stare almeno per organizzarsi e ambientarsi. Trovò una piccola pensione al centro della città, e la cosa le fece piacere, perché si rese conto di essere vicina a tanti locali notturni dove poter cominciare a cercare lavoro, anche come cameriera o guardarobiera. Si fece accompagnare nella stanza, piccola ma accogliente. Un piccolo monolocale che le offriva la libertà di un castello.
“Grazie!” rivolse al proprietario e, rimasta sola, aprì immediatamente la finestra, per fare entrare un po' di aria nuova e pulita.
In silenzio si continuava a chiedere quanto fosse matura quella decisione, quanto fosse sensata. Senza farsi prendere dal panico, tirò un lungo sospiro e, guardandosi intorno, decise di sistemare quella poca roba che aveva messo nella sua unica valigia. Solo allora si rese conto di quanto fosse penoso il suo passato, di quanto poco la vita le avesse dato. Poco più di vent’anni entravano in una borsa di pelle vecchia. Osservando com’era ridotta rise ironicamente pensando che forse quella valigia aveva vissuto più di lei, forse aveva più cose da raccontare.
Finì di mettere tutto a posto in poco tempo e, con molta determinazione, decise di andare in giro per la città. Questo era quello che fece per i suoi primi giorni. Si alzava presto la mattina per imparare a conoscere quel nuovo posto, le sue strade, i suoi negozi.
Una mattina tornò alla pensione con un coloratissimo mazzo di fiori e un giornale con le offerte di lavoro e, sedendosi alla scrivania piccola e consumata, disse: “New Orleans cominciamo”.
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