giovedì 17 maggio 2012

DUKE ELLINGTON



Se Gerry Scotti vi chiede chi è il più grande direttore d’orchestra e arrangiatore di colore, rispondete sicuri Edward Kennedy “Duke” Ellington e accendete. Duke, il più grande jazzista con la bacchetta in mano. Nato nel 1899 a Washington, muore nel 1974 lasciando migliaia e migliaia di partiture musicali considerate le più belle pagine di jazz americano di tutti i tempi. Oltre ad essere stato e ad’essere, ancora oggi, la fonte ispiratrice di tanti musicisti, i suoi brani sono veri e propri metodi di studio usati dalle più prestigiose scuole di musica. La sua creatività e la sua genialità musicale sono di proporzioni inaudite e non è difficile crederci se pensiamo che a lui appartengono “Sophisticated Lady”, “Solitude”, “Mood Indigo”, “Caravan”, “In A Sentimental Mood” e tante tante altre meravigliosi standards. Il Duca è una persona leale. È un uomo onesto e signorile grazie al fatto di essere cresciuto all’interno di una famiglia che, da subito, ha voluto trasmettere ai figli una seria educazione e i valori veri della vita. Ottimo pianista e trombettista, è precisamente negli anni ’20 che compra una bacchetta da direzione d’orchestra e dà vita alla sua prima big band. Sempre tutti estremamente vestiti con pantalone nero e giacca celeste carta da zucchero, gli orchestrali cominciano a suonare in giro per i più importanti locali americani, “imponendo” dolcemente il suo primo stile caratterizzato da  assonanze africane e da un sound primitivo leggermente modificato da ricami raffinati più o meno malinconici. In poco tempo, però, Duke aggiunge qualcosa di più culturale, di più occidentale alla sua musica assumendo nuovi membri nell’orchestra, stravolgendo il suo pentagramma, eliminando la parte selvaggia dalle sue note e facendo esplodere il suo linguaggio drammatico, il suo lirismo, i suoi lamenti di una vita non estremamente facile. I suoni diventano più intensi, le emozioni si moltiplicano velocemente, la sua musica comincia a diventare quello che presto sarà: perfetta. Le richieste di lavoro sono davvero sorprendenti e la Duke Ellington Orchestra approderà, ben presto, al Cotton Club, dove ci resterà per parecchi anni.
È molto più che evidente nelle sue note il suo tessuto primordiale che nasce da una approfondita conoscenza della musica di Debussy. Estrae la parte più interessante di questo grande musicista e le cuce attorno una serie di contrappunti, di arpeggi swing, di stop improvvisi, di scatti seducenti. Ogni singolo strumento dell’orchestra ha un preciso ruolo. Il suo pianoforte iniziale ha il compito di sensibilizzare il pubblico e di prepararlo a quello che sta per udire, il clarinetto lo conduce con dolcezza e decisione a metà del percorso. La mano passa alla tromba che deve imprimere sulla pelle di ogni singolo ascoltatore, come fosse un tatuaggio, quello che fino a quel momento si è svolto. E poi la batteria che, attraverso i piatti e l’uso delle spazzole, deve sottolineare le frasi di ira, di tristezza, di malinconia, di dolcezza, di angoscia, di allegria di tutto il pezzo. Infine, tutti insieme per concludere un discorso musicale, più o meno breve, nella rara bellezza mai udita prima di Duke, difficilmente udita dopo Duke.
Negli anni ’30 Duke è ormai famoso ovunque. La sua musica è ascoltata in qualsiasi parte del mondo attraverso i suoi prestigiosi concerti. La parte più importante della sua vita professionale si svolge nel decennale dagli anni ’30 ai ’40. Duke strappa al mondo una grande personalità per inserirla nella sua orchestra, quella di Billy Strayorn che, nel 1941 crea “Take The A Train” e che lui arrangerà con la sua nota e usuale maestria. E’con questo successo che Duke evolverà la sua musica, continuando a collaborare strettamente con Strayorn e costruendo i suoi futuri arrangiamenti con formule più complesse, aumentando i fraseggi colmi di varianti dissonanti e di assoli suggestivi.  
Insuperabile è il concerto che la Duke Ellington Orchestra tiene alla Carnegie Hall nel 1943. Il 1948 è l’anno in cui sono vietate tutte le incisioni discografiche e da qui l’Orchestra si avvia, lentamente, a percorrere un periodo negativo e la morte dei pilastri della sua orchestra, a cominciare da quella di Strayorn, spingono Duke a dedicarsi alla musica sinfonica e alla musica sacra. Dà inizio ad una serie di concerti nelle chiese e alla creazione di brani la quale ispirazione è esclusivamente Dio.
Dopo la sua morte, il figlio Mercer ricostruisce l’orchestra a suo nome cercando di non far dimenticare la musica del padre al mondo, non potendo immaginare quanto il mondo sia a conoscenza, tuttora, della rarità e della irripetibilità del fenomeno Duke.

viviinjazz

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