giovedì 17 maggio 2012

COLE PORTER


      Spero che chi è riuscito a sapere, a causa della poca pubblicità – come del resto accade per ogni opera jazzistica in Italia - che nelle sale cinematografiche italiane, è in visione un film incentrato sulla vita del grande compositore Cole Porter, conosca un po’ il personaggio, per cultura personale o per passione jazzistica.
      Più di mille standards cantati dalle voci più belle del panorama musicale, Frank Sinatra, Nat King Cole, Ella Fitzgerald e da altri, arrangiate e arricchite da innumerevoli ornamenti rendendole sempre e puntualmente memorabili. Un genio, un musicista seduttore, poeta, raffinato e assetato di successo. Cole Porter rappresenta in maniera completa l’America musicale degli anni ’30 , per quanto le sue musiche vengano interpretate ancora oggi, da giovani jazzisti e anche da cantanti di musica pop internazionale. Indimenticabili “I’Ve Got You Under My Skin” (resa nota soprattutto dalla versione di Frank Sinatra, alla quale si è aggiunta, nel 1993 una suadente registrazione dello stesso con Bono, leader del gruppo “U2”, che si può ascoltare nel cd “Duets”), “Begin The Beguine”, “Easy To Love” (una versione magica quella di Charlie Parker), “I Get A Kick Out Of You”, “Night And Day” (la più bella versione quella di Ella Fitzgerald), e tante altre. Difficilmente si può resistere al fascino di questi standards, scritte sempre e solo da lui, musica e testi. “La melodia e le parole” diceva, “devono nascere insieme, dalla stessa persona. Devono essere inscindibili”. Sono musiche scritte con allegria, con la gioia nel cuore, con quella naturalezza che pochi artisti hanno la fortuna di possedere. Amante del lusso e di tutto ciò che rappresentasse ricchezza. Apparteneva all’”high society”. Viveva per la musica, per il successo e per le donne che gli servivano per nascondere la sua omosessualità.
Chi conosce già Cole Porter troverà questa pellicola povera dal punto di vista artistico e umano e incentrata quasi esclusivamente sull’aspetto omosessuale rendendo il personaggio, spesso, malinconicamente ridicolo.
       È la seconda volta che il cinema tenta di raccontare la sua vita, come se percepisse di non essere riuscito nell’intento. Già nel 1948, infatti, uscì il film “Night And Day” di Michael Curtiz, dove Cole Porter era interpretato magistralmente da Cary Grant. In “Night And Day”però, l’omosessualità di Cole Porter viene nascosta, volutamente dimenticata, mettendo in risalto esclusivamente l’artista, le sue canzoni, il rapporto sentimentale con Linda Lee, la sua ricchezza materiale, facendo avvertire al pubblico un senso di finzione. In “De Lovely” invece, sembra che il regista, Irwin Winkler, voglia far ruotare tutto il film intorno alla problematica della sua sessualità. Più che legittimo il voler descrivere la vita privata di un artista. Ma lo si può fare quando si ha la certezza che si sta raccontando la verità, senza lasciarsi influenzare dalle proprie opinioni personali. Anche Clint Eastwood, in “Bird”, film che racconta la vita di Charlie Parker, ha dato molto spazio alla parte intima del sassofonista, mettendo in luce i suoi problemi collegati alla dipendenza dalla droga. Ma restando sempre obiettivo, rispettoso e mai invadente, senza sminuire  mai la sua genialità. In “De Lovely”, invece, si avverte la voglia del regista o di Kevin Kline, l’attore che impersona Cole Porter, di affermare la propria opinione etica e politica sull’esistenza dell’omosessualità, servendosi di un artista che era in realtà omosessuale, ma limandone troppo la storia professionale.
     Non credo sia giusto amplificare la scontrosità, l’egomania, l’autodistruttività di una persona, nascondendone i pregi e la ricchezza d’animo. Infatti, in questo film, Cole Porter appare come un gay innamorato di una donna della quale si fa scudo per nascondersi dalle malelingue, un po’ calcolatore mostrandolo in difficoltà nel cercare le parole per una melodia, egoista, un individuo superficiale che si lascia emozionare solo dalla mondanità, un uomo alla ricerca delle cose belle e ricche. E così facendo, questo film musicale, paradossalmente, diventa una  pellicola priva di “musica”.
       È vero che, in alcune testimonianze, Cole Porter viene descritto come non sempre simpatica e talvolta insopportabile. Ma Winkler non ha pensato che forse sarebbe stato meglio attenersi ai fatti e alle date e non, invece, fantasticare per dare vita a delle scene. Non si può accreditare la nascita di “Easy To Love” all’innamoramento per Linda Lee, come non si può pensare che Cole Porter abbia dato alla luce “Experiment” per poter svelare la sua omosessualità, se non si è sicuri che corrisponda a verità. È una tecnica che non vale per un’opera biografica. Così si rischia di non raccontare un personaggio, ma di inventarlo. Pare dimenticare che quelle di Porter sono tra le musiche più belle composte nel secolo scorso, a parità di bellezza a quelle di Gershwin, di Berlin, di Rodgert-Hart, così come dimentica di dire che Cole Porter ha studiato con Vincent D’Indy, che si è arruolato nella legione straniera, che ha partecipato alle vicende belliche.
      Ottime le scelte delle voci di Diana Krall, Natalie Cole ed Elvis Costello per portare alla luce alcuni brani. Meno adatte, invece, quelle di Alanis Morissette e Robbie Williams. Scelte, credo, obbligate per attirare il pubblico giovanile. Ritengo siano delle belle voci della musica pop alle quali manca, però, lo swing e il calore giusto per interpretare il jazz di Cole Porter. La speranza è che il pubblico, soprattutto quello giovanile che vuole avvicinarsi a questo genere musicale saprà apprezzare la genialità di Cole Porter e non si farà influenzare da quello che sembra un mancato riconoscimento della maestria di un uomo che ha scritto le pagine più belle della musica americana, non sottolineando che il solo obiettivo di Cole Porter era quello di dare ritmo alle sue emozioni.

viviinjazz
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