“Io sono nato con la musica dentro di me. È l’unica spiegazione che conosco per quello che ho realizzato nella vita”. In questo modo si descrive il grande pianista e cantante di blues Ray Charles. Scompare il 10 giugno dell’anno scorso, “The genius” lascia definitivamente vuoto lo sgabello del pianoforte, all’età di 74 anni. Nonostante la cecità che lo colpisce intorno ai suoi sette anni, non si deprime e trova nella musica la sua ragione di vita, trasmettendo nei suoi concerti solarità e gioia di vivere e ironizzando sempre la sua situazione. Basta ricordare le partecipazioni in varie pellicole cinematografiche, per esempio nel film “The Blues Brothers” o partecipando ad una pubblicità dove guida un’automobile nel deserto. Il 20 gennaio è uscito nei cinema un film che racconta la sua vita e si chiama semplicemente “Ray”, interpretato da Jamie Foxx. Il film percorre nei dettagli più importanti la sua esistenza. Descrive il dramma della cecità che gli ruba tutta la verità sul mondo ma che, quasi crudelmente, gli permette di assistere alla morte del fratello più piccolo di cui Charles si crede responsabile, la scoperta delle sue potenzialità musicali, i problemi dovuti alla dipendenza dalla droga, il rapporto con le donne, la difficoltà di imporsi come musicista nero e la sua battaglia contro i concerti separati tra bianchi e neri nella sua Georgia. Tutto questo viene sottolineato dalle sue musiche, da “Georgia on my mind”, “I got a woman”, “I can’t stop loving you”. È un film che descrive anche la parte negativa dell’artista, la sua durezza, la mancanza spesso di moralità, la vita passata a suonare in locali sporchi e puzzolenti. Il pubblico si accorge, finalmente, che le musiche sdolcinate e malinconiche di un artista, spesso vengono fuori da un’anima sofferente e controversa. Il film nasce ancora prima della morte di Charles che, venuto a conoscenza di questa creazione ha detto: “non voglio che mi raccontiate come un uomo rinsavito. Non sono mai stato un santo. Restituitemi l’anima. Raccontate tutte le cosacce che ho fatto e anche dell’eroina. Scegliete sempre donne belle, però dite che vi ho fatto costruire scuole e asili di musica per i ragazzi poveri che venivano respinti sugli autobus per il colore della pelle. C’è ancora tanto razzismo”.
La sua musica è in buona parte blues, ma ci sono registrazioni di jazz vero, di soul, di country e di pop music. La sua “What’d I say” del 1959 invade l’America diventando la colonna sonora, per tanti anni, derl R&B e facendosi amare e conoscere anche dal pubblico bianco. Memorabile la sua versione di ”Yesterday” dei Beatles, per non dimenticare di citare il suo grande progetto di “We are the world”, canzone con la quale riunisce un gran numero di musicisti e cantanti con lo scopo di devolvere all’Africa il ricavato delle vendite.
Anche chi lo ha potuto conoscere appena, non potrà dimenticarlo. Sempre sorridente al pianoforte, con il suo “simpatico” dondolìo, la sua voce calda e rauca, quelle sue canzoni a volte malinconiche, a volte energiche, ma sempre trascinanti.
La vita è stata senza dubbio avara con lui, avara e crudele. Ma lui è stato capace, comunque, di vincere. La vita gli ha dato il colore della pelle nera in un contesto politico, sociale e geografico assolutamente bianco ma, alla fine, è riuscito a farsi amare da tutti. La vita gli ha tolto la vista ma è stato capace di dire con la musica quello che non poteva trasmettere con gli sguardi. James Brown, una volta, ha detto: “Ray riesce a vedere cose più belle di quelle che avrebbe guardato se avesse avuto gli occhi sani”.
Nell’aprile 2004 è uscito un cd “Genius Loves Company”, che contiene una serie di fantastici duetti. C’è una sublime “You don’t know me” con Diana Krall, una energica “Fever” con Natalie Cole, una struggente ed emozionante “Sorry seems to be the hardest word” con Elton John. Inoltr, per chi volesse approfondire la sua conoscenza, esiste una autobiografia “Brother Ray” del 1978.
In una intervista di più di vent’anni fa dice: “la musica esiste da sempre e continuerà ad esistere anche dopo che sarò morto. Voglio solo lasciare il mio segno, lasciare qualcosa di musicalmente valido alle mie spalle”.
Ogni canzone interpretata da lui si trasforma in qualcosa di unico, attraverso il suo tocco assolutamente personale, attraverso il suo trascinare le parole, il suo scandire perfettamente e lentamente alcune parole, il prolungare le lettere finali, le sue “apparenti” esitazioni. Un musicista che vale la pena di conoscere per il suo enorme talento, per la sua forza di vivere, per la sua capacità di “vedere” oltre il buio dei suoi occhi e trovare sempre, in ogni caso, qualcosa che valesse la pena di cantare.
viviinjazz
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