“La sua voce puntava dritta alla gola di un pubblico bianco. Poi puntava al cuore. Poi puntava alla testa”. Così Sam Shepard, sceneggiatore e registra teatrale, descrive, con poche parole, la grandezza di Nina Simone. Cantante e pianista afroamericana di jazz, per quanto nelle sue esibizioni c’è di tutto: jazz, blues, gospel, soul, R&B e a volte persino il pop e il folk. La sua voce è molto simile a quella di Billie Holiday. Lo stile è quello sofferto, triste e malinconico. Di sicuro questo è dovuto alla stessa radice e alle stesse problematiche avute nella vita, alle stesse sofferenze subìte a causa del colore della pelle, della loro provenienza geografica e culturale. Il suo stile è incredibilmente espressivo, non ricorre a nulla che non sia “sentito”, nessun virtuosismo, nessuna scala d’effetto. Tutto quello che canta è quello che vive dentro di sé. Il suo piano è bello, tecnico ma anch’esso ha un linguaggio comprensibile, maturo ma senza eccessi, come se volesse essere compresa da tutti, come se sapesse che questa comprensione, mai ricevuta in tutta la vita, potesse giungerle solo attraverso il linguaggio musicale.
Se si dovesse dare un colore alla sua musica sarebbe nero assoluto, la sua voce è calda, struggente, la sua espressione è apparentemente recitativa ma assolutamente non voluta, sembra annoiata, impettita e indispettita, ma è inevitabile quando devi “cantare” una vita come la sua.
In Italia è conosciuta senza dubbio per aver riportato al successo lo standard “My baby just cares for me”, brano del 1930 di Kahn e Donaldson, trasformandola in una versione pianistica nella quale evidenzia una ammirazione particolare per Bach. La sua voce, in questa esibizione, è rauca, calda e ironica. Ma in realtà tutto quello che decide di interpretare lascia un segno incancellabile sulla propria anima. Per esempio “Don’t smoke in bed” di Wiliard Robinson, o ancora “Love me or leave me” sempre di Kahn e Donaldson, standards che assicurano una serie di brividi lungo la schiena.
I suoi rapporti sentimentali falliti e difficoltosi, il mancato pagamento delle tasse per protesta della guerra in Vietnam e, di conseguenza, la prigione, la sua attività e il suo continuo movimento per i diritti civili e le problematiche femminili, la lotta contro il razzismo, il tentativo di suicidio sono leggibili attraverso l’ascolto delle sue incisioni. Basta ascoltare “Four women”, fotografia della vita di quattro donne nere, o “Mississippi Goddam” in onore dell’uccisione di un leader dei diritti civili e di quattro ragazzi di colore, o ancora “Why? (The king of love is dead)” scritta per l’assassinio di Martin Luther King, e si viene colpiti da tutto il suo trasporto emotivo caratterizzato da dolore, solitudine e anche da un pizzico di ira nei confronti dell’ingiustizia sociale. Muore il 21 aprile 2003, dopo una vita continua di lotta. Si sposa due volte e subisce continue umiliazioni da parte degli uomini nella vita privata e nel lavoro. Viene picchiata dal suo manager e marito Andrew Stroud, è assalita e percossa dall’uomo con il quale ha poi convissuto per anni e finisce in ospedale, successivamente diventa compagna un importante politico che le rende la vita difficile e sofferente. Questa relazione si conclude con l’uccisione dell’uomo raggiunto dalla pallottola di un criminale. Tutto questo e altri aneddoti sulla sua vita complessa, sul suo carattere duro e testardo lo si trova scritto nella sua autobiografia “I put a spell on you”, dove con il suo tipico sarcasmo racconta tutti i dettagli di una vita vissuta intensamente, in ogni cosa che la vedesse impegnata.
Nel concerto del 5 maggio 2002 all’Auditorium di Roma, Nina Simone dà dimostrazione di quanto, a 69 anni, si abbia ancora da dire. Ma è esausta. Forse anche di ripetere le stesse cose e vedere che poco è cambiato. “Ascolto solo Bach, Chopin e Maria Callas, dormo molto. Lavorare per quarant’anni non è uno scherzo e io sono davvero molto stanca”. Il pubblico percepisce la sua fatica che lei non nasconde. Dopo aver cantato un brano dice: “Mancano ancora venti minuti? Oh, My God. O mio Dio”. E la gente applaude perché Nina Simone è da applaudire anche per questa sua sincerità, oltre che per aver fatto una musica sublime, carismatica, magnetica. Ma forse, questo sua voglia che il concerto finisse presto, l’aver dimenticato di presentare il gruppo, il non aver concesso nemmeno un bis, le fa comprendere di essere arrivata all’ultima pagina di un grosso album di fotografie e di aver appena attaccato l’ultima istantanea. Una istantanea, logicamente, in bianco e nero.“Voglio che gli altri si rendano conto di come le lotte di una donna coraggiosa possano avere un impatto che duri anche dopo la sua morte”.
viviinjazz
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